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martedì 29 marzo 2016

Il paradosso dell'anolino bugiardo

Pasqua. È tempo di anolini.
Qui da noi, nella Bassa parmense, gli anolini si mangiano di magro, ripieni di pane scottato nel brodo e di Parmigiano Reggiano. Senza carne, perché un tempo costava troppo, ma non si poteva rinunciare a una pasta ripiena che è il segno della festa, della condivisione, dello stare riuniti intorno a una tavola.
Quand’ero bambina, la mia nonna stendeva sulla spianatoia centinaia di belle panciotte ripiene, pronte per essere buttate nel brodo. Ma noi tutti sapevamo che tra di loro si celava un’insidia, un illusorio “bugiardo”. Questo era un anolino che faceva mostra di essere ben pieno, ma a differenza degli altri era gonfio di grezza pasta. Chi l’avrebbe trovato, sarebbe stato considerato l’impostore dell’anno, colui che, in quel lasso di tempo, aveva più volte mentito.
Nessuno voleva diventare “il bugiardo”. E allora cominciavano le occhiate indagatrici, lo studio accurato di ogni prominenza sospetta galleggiante nel piatto (la pallina di impasto raramente si deformava in cottura, ma a questa raffinata analisi, che richiede occhi esperti e ventri non troppo ingordi, si giungeva solo da adulti) o l’osservazione di eventuali smorfie sui volti degli altri commensali, perché potevano rivelare a un tratto una sgradita sorpresa.
E qui comincia il paradosso: quando uno trovava “il bugiardo” poteva scegliere, infatti, se tenere la notizia per sé oppure manifestare all’intero consesso la propria spiacevole sorte e condizione. Nel primo caso, dunque, egli era davvero mendace, ma partendo dal presupposto che nessun altro, a parte lui, poteva sapere a chi fosse toccato il sedicente anolino, la dissimulazione ne vanificava l’effetto di disvelamento. Nel secondo caso, invece, (come sarà ormai a tutti evidente) confessando l’accaduto, il malcapitato diventava subitaneamente onesto, purificandosi da ogni falsità trascorsa con un rituale alimentare che univa, tanto per cambiare, cibo e parola.

Lascio ai filosofi di trar le conclusioni, perché io nelle confutazioni mi son sempre persa, ma son sicura che, se Zenone fosse nato nella Bassa, si sarebbe interrogato sul paradosso dell’anolino bugiardo.
(LC)

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